Mese: <span>Ottobre 2021</span>

  • Il vino alla corte del Re,l’uva rotonda autoctona: O’ “Pallarello”

    Pallagrello o “U pallarell” nel dialetto locale, deriverebbe da Pilleolata, termine di origine latina per indicare una piccola palla a richiamare la forma minuta e perfettamente sferica degli acini ed è uno dei pochi casi di vitigno a bacca rossa e bianca.

    “Ecco primier già spillo il dolce Pallagrello che da suoi tralci stilla Monticello. Ecco n‘empio il bicchiere e mentre fuma e brilla, e tremula e zampilla, questo di buon sapere spiritoso licore, a te volgo la fronte…”. Queste sono le parole che il poeta Nicolò Giovo, nel 1729, dedicava al nobile ed antico vino Pallagrello. E’ originario della zona di Piedimonte Matese, motivo per cui fu lungo denominate proprio il “Piedimonte”. Per molti anni la sua identità fu confusa, associata al coda di Volpe o a cloni di Aglianico,.ma verso la fine del’800 l’agronomo Felice Frioio lo identificò come varietà ampelograficamente riconosciuta. Con gli anni, sia a causa di infestazione di oidio e filossera che per una minore produttività rispetto ad altre varietà, se ne era drasticamente ridotta la produzione. Oggi invece viene allevato e vinificato in purezza con ottimi risultati rientrando tra le produzioni della denominazione IGT” Terre del Volturno”. Il Pallagrello era uno dei vini preferiti dalla famiglia reale Borbonica che lo usava spesso per le grandi occasioni, preferendolo anche ai rinomati vini francesi e donandolo come omaggio agli illustri ospiti. Fu in particolare Ferdinando IV, grande appassionato di innovazioni agronomiche e molto legato al suo territorio essendo il primo sovrano della dinastia ad essere nato in Campania, a dare risalto e fama a questo importante vino facendolo diventare “il vino del re”.

    Nel 1775 infatti fece installare a Piedimonte Matese, in località Monticello una lapide celebrativa che omaggia tutt’oggi la storia e le qualità di questo vino, arrivando ad emanare un decreto che vietava a tutti il transito in zone adibite alla coltivazione di Pallagrello, pena sanzioni.

    Tuttavia l’opera che più mostra l’amore di Ferdinando IV per il vino fu la realizzazione della Vigna del Ventaglio nel real sito di San Leucio: si tratta di un imponente vigna della forma di un Ventaglio, a 10 raggi, costituito da filari ognuno di uve rappresentative delle eccellenze del regno delle 2 Sicilie: da Lipari Rosso al Pallagrello, sia rosso che bianco (denominato Piedimonte Bianco e Rosso al tempo) con una produzione di alta qualità che arrivava a 80 barili. Ogni settore era segnato con dei ceppi in travertino di Bellona con incisa la varietà li presente e l’intero progetto fu realizzato dal Leggendario Luigi Vanvitelli.

    Nello stesso periodo, altre fonti elogiarono questo vino. Il dizionario geografico del 1759 scriveva del vino di Monticello: “I vini di questa contrada sono eccellenti così bianchi come rossi, e sono de’ migliori del regno per la loro qualità e natura, come per la grata sensazione che risvegliano nel palato. Vanno sotto il nome di ‘pallarell’, e sono stimatissimi nei pranzi”. Il vino di Monticello fu preferito ai vini Vesuviani per il suo sapore deciso e fruttato, apprezzato per i grappoli dalla forma piccola e tonda (in alcuni scritti viene indicato con il nome di pilleolata, dal latino piccolo palla), vezzeggiato per il suo sapore.

    Queste caratteristiche rendono il Pallagrello uno degli omaggi che il sovrano donava ai propri ospiti, nonché uno tra i vini più titolati nei ricevimenti a Palazzo Reale. La storia del Pallagrello è quindi stata travagliata e segnata da alti e bassi, dalle tavole reali alla quasi estinzione fino alla recente riscoperta che è culminata con la reintroduzione della produzione nella reale tenuta di Carditello, abitata proprio dai Borbone, con un’ ideale reinvestitura al titolo che gli appartiene: Vino del Re.
    La produzione di Pallagrello, oggi, è circoscritta all’area dei comuni delle colline caiatine (https://mediovolturno.guideslow.it/panorami/monti-del-taburno/), dei monti Trebulani (https://mediovolturno.guideslow.it/panorami/catena-monte-maggiore-vista-dalla-torre-roccaromana/) e della Valle Alifana, dove il terreno argilloso si presta bene alla coltivazione di un vitigno delicato e molto vigoroso. Ne deriva un frutto dalle qualità fortemente spiccate, che conferiscono al vino, sia bianco che nero, proprietà organolettiche particolari, legate alle caratteristiche pedologiche e climatiche del territorio in cui viene prodotto.


    Il Pallagrello bianco ha un gradevolissimo profumo e un gusto equilibrato con un lungo finale di albicocca. Bello anche alla vista… dal colore giallo chiaro, brillante, con sfumature dorate. Il suo bouquet di aromi si apprezza maggiormente se gustato alla temperatura di 12 gradi. Per queste sue note, è un eccellente aperitivo che accompagna egregiamente tutti i tipi di antipasto e anche piatti a base di formaggi o pesce.

    Il Pallagrello Rosso è invece un vino potente e ben strutturato. Ha un aroma profondo, che sfuma verso una scia speziata di more e mirtilli, e un profumo intenso, che rimanda al sentore di frutti di bosco, pepe e cioccolato. Il colore è limpido e varia dal rubino carico al rosso porpora. Morbido e vellutato al palato, il Pallagrello Rosso dà il meglio di sé gustato alla temperatura di 18 gradi. Si abbina molto bene a piatti complessi e ricchi di sapore, come i secondi di carne o piatti di formaggi semi-stagionati. Più di altri vini, si presta meglio all’invecchiamento.

    Storia diversa ha avuto Il Casavecchia: ha origini invece poco conosciute e per questo è davvero molto interessante scoprirne le origini. Una leggenda tramandata tra i contadini ne fa risalire la scoperta in un vecchio rudere noto come “’a casa vecchia”. Lì fu rinvenuto agli inizi del ‘900 un vecchio ceppo sopravvissuto alle epidemie di oidio e fillossera dell’800, capostipite quindi dell’odierno vitigno Casavecchia. Essendo poco produttivo, spinge naturalmente verso prodotti di alta qualità. Permette di ottenere un vino vigoroso, complesso e predisposto all’invecchiamento, soprattutto se affinato in legno.

  • Il cambiamento climatico consente già di produrre due vendemmie all’anno

    Uve di Aglianico Vendemmia


    Cambiamenti climatici

    Negli ultimi decenni in gran parte delle zone viticole mondiali, l’uva da vino ha accelerato il suo avanzamento delle fasi fenologiche e questo a causa del cambiamento climatico e del conseguente innalzamento delle temperature. Capire in modo chiaro come i cambiamenti climatici influiscano sui tempi di raccolta, tuttavia, ha necessitato un esame approfondito del rapporto tra l’analisi fenologica delle uve da vino e il clima, inclusi i dati precedenti alle attività umane che hanno interferito nel sistema climatico, questo per avere anche una prospettiva a lungo termine.


    Temperature e siccità


    Lo studio, riportato il 21 marzo nella rivista Nature Climate Change, ha rilevato che le temperature più calde degli ultimi anni hanno interrotto un collegamento di quattro secoli tra vendemmie eccezionali e siccità di fine stagione. Negli ultimi decenni, infatti (1981-2007), l’innalzamento delle temperature ha provocato un anticipo della vendemmia di circa 2 settimane, con una drastica trasformazione del rapporto tra i tempi di raccolta e vendemmie eccezionali. Storicamente, infatti, le temperature estive elevate in Europa occidentale – che acceleravano la maturazione della frutta – si sono sempre verificate in relazione a temperature estreme e a condizioni di siccità: tale rapporto, siccità/temperatura, è oggi compromesso: il riscaldamento è sempre più legato ai gas serra (conseguenza dell’intervento dell’uomo) che anche in assenza di siccità ha favorito l’innalzarsi delle temperature.


    I tempi di maturazione dell’uva

    Il cambiamento climatico ha fondamentalmente alterato il processo di maturazione dell’uva, questo comporta vendemmie anticipate in gran parte dei Paesi europei con importanti implicazioni nella gestione della viticoltura e qualità del vino. La ricerca, condotta dallo scienziato del clima Benjamin I. Cook (NASA Goddard Institute for Space Studies e Lamont-Doherty Earth Observatory – Division of Ocean and Climate Physics – New York) e da Elizabeth M. Wolkovich (Arnold Arboretum, Boston e Organismic and Evolutionary Biology -Harvard University, Cambridge),ha rilevato che una volta le vendemmie anticipate erano associate con vini di alta qualità; in gran parte della Francia e della Svizzera, i migliori anni erano quelli con piogge primaverili abbondanti seguiti da estati calde e siccità di fine stagione, il che favoriva vendemmie circa una settimana prima del solito. Ma ,con le mutazioni climatiche degli ultimi 35 anni si è avuto un cambiamento drammatico, con periodi di siccità non più favorevolmente correlati per una vendemmia anticipata. “Dopo il 1980, i segnali di siccità favorevoli scompaiono” spiega il dottor Cook “c’è stato un cambiamento fondamentale nel clima su larga scala e nel quale le attività umane hanno giocato un ruolo importante”. I ricercatori hanno analizzato 400 anni di dati relativi al vino provenienti dall’Europa occidentale. L’anno di vendemmia è stato associato alle tendenze del clima, avvalendosi anche delle informazioni sui cambiamenti di qualità sulla base dei rating a lungo termine delle annate di Bordeaux e Borgogna. Lo studio ha fatto emergere anche previsioni per la Cina, la Tasmania e il Canada e la Malesia che potrebbero essere in futuro i nuovi territori dove coltivare uve pinot nero visto che in Borgogna non sarà più possibile. Il Bordeaux perderà il cabernet sauvignon e il merlot e lo Champagne cederà la sue note frizzanti al sud dell’Inghilterra.

    E in Italia? Anche il nostro Paese non verrà risparmiato dal cambiamento climatico, i cui effetti sono già databili al 1998, con un anticipo medio della fioritura di otto-dieci giorni; un periodo di fioritura abbreviato e quindi di un anticipo dell’invaiatura. La conseguenza inoltre è anche la produzione di vini mediamente più alcolici che tra l’altro non rispondono a quel che oggi chiede il mercato. In Trentino, nella Val di Cembra, intanto, per mantenere freschezza e acidità ai vini base spumante, le uve chardonnay e pinot nero vengono spostate fino a quota 600 metri.


    Come ricavarne un vantaggio

    Gli effetti del cambiamento climatico preoccupano sia i viticoltori che i ricercatori. Secondo un rapporto svolto da Martínez de Toda pubblicato due anni fa, le attuali tecniche di gestione della vegetazione del vigneto sono “insufficienti” per ritardare la maturazione delle uve e con essa la vendemmia di almeno due o tre mesi in zone vitivinicolo con temperature estremamente calde. E’ necessaria una forzatura di un nuovo sviluppo della vite, che è stata proposta anche come una scoperta interessante nella lotta contro il riscaldamento globale. È quello che Martínez de Toda ha ora sviluppato.
    “…….Il cambiamento climatico consente di produrre due vendemmie all’anno“: è la sorprendente conclusione di una ricerca condotta in Spagna e pubblicata su “Vitis Journal of Grapevine Research”. La ricerca è stata condotta dal viticoltore, agronomo, professore di viticoltura presso l’Università di La Rioja e ricercatore presso l’Istituto di scienze della vite e del vino (ICVV)Fernando Martínez de Toda, che spiega che ci sarebbero tra 35 e 37 giorni di differenza nelle date di maturazione e vendemmia. Il metodo proposto da Martínez de Toda, consiste nell’accorciare i tralci in crescita a diversi nodi per forzare la ricrescita della vite. Per forzare il germogliamento, la ricrescita dei germogli e la raccolta, è necessario eliminare la fonte di inibizione e per questo vengono eliminati i germogli laterali, le foglie e i grappoli primari, se esistono. Per mezzo di un’adeguata esecuzione della tecnica di forzatura è possibile ottenere un secondo raccolto dei germogli forzati, che viene aggiunto al primo raccolto dei rami principali, secondo il ricercatore. Il secondo raccolto rappresenta circa il 30% del raccolto primario, che è di circa 1,2 chilogrammi per ceppo. In relazione al controllo non forzato, il raccolto primario matura circa 13 o 15 giorni dopo e il raccolto secondario tra 35 e 37 giorni dopo. Secondo i risultati della ricerca, la seconda raccolta produce grappoli e bacche più piccoli, con pH più basso, maggiore acidità, più alti acidi malico e tartarico e antociani molto più alti rispetto al primario. Inoltre, consente alle uve forzate di maturare molto in condizioni termiche più basse, il che è considerato interessante nelle regioni calde e con l’attuale situazione di riscaldamento globale. Lo svantaggio principale della tecnica di forzare la ricrescita della vite è la perdita di prestazioni. Per evitarlo e non eliminare i grappoli primari già formati nei germogli principali, Martínez de Toda consiglia di forzare lo sviluppo delle gemme del quinto e sesto nodo, ma mantenendo i grappoli dei germogli principali. In questo modo, le prestazioni delle gemme forzate verrebbero aggiunte alla prestazione normale o primaria dei germogli. Propone pertanto tecniche di gestione della vegetazione del vigneto per mitigare gli effetti delle alte temperature e del riscaldamento globale. Il suo studio inoltre si concentra sulle tecniche di gestione della vegetazione,considerandole più interessanti perché possono essere applicate su vigneti esistenti, senza la necessità di ricorrere a nuovi: in pratica consiste nel ritardardare la maturazione dell’uva,poiché l’effetto negativo fondamentale e più chiaro delle alte temperature è quello di causare un avanzamento nella sua maturazione. Tale tecnica ha lo scopo di ritardare la data della vendemmia in modo da combinarla con condizioni ambientali più fresche.

  • Redo: un “giovane di razza”

    Lapio

    Baciata dai raggi del sole, all’ombra del monte Tuoro, sorge TENUTA SCUOTTO. Azienda Agricola votata alla produzione dell’eccellenza dei VINI: sorge nel cuore dell’Irpinia e proprio il territorio ha ispirato il capostipite della famiglia Scuotto, il sig. Edoardo a porre le basi di quella che oggi è una delle realtà vitivinicole più interessanti della Campania. Nel 2008 nasce l’azienda Tenuta Scuotto, dove un team di professionisti, insieme a scelte imprenditoriali coraggiose, ha dato vita ad un progetto importante nel territorio del Lapio. Lo spirito è stato fin da subito quello di presentarsi al pubblico degli appassionati con prodotti “differenti”, ovvero prodotti che fossero l’espressione più fedele del terroir, ma che allo stesso tempo ne restituissero, in degustazione, un’identità unica. Ogni aspetto della produzione Scuotto, infatti, è stato improntato al rispetto per il territorio, elemento fondamentale per chi vuole mantenere il legame con il territorio, ma evitando ogni forma di omologazione. Questo non significa rifiutare la propria identità, ma dare a quest’ultima caratteristiche proprie. La tenuta Scuotto pone al centro della propria filosofia, innanzitutto, quantità limitate per garantire la massima cura su ogni prodotto, poi una vendemmia selettiva eseguita rigorosamente a mano.

    Queste sono solo alcune delle scelte poste alla base della conduzione aziendale.La sua produzione annuale si aggira tra le 60.000 e le 70.000 bottiglie. Tra i vini si ricordano: Fiano di Avellino, Greco di Tufo, Falanghina, “Oi nì”, Taurasi D.o.c.g., REDO, Stilla Maris, Malgrè. Rcevono il prestigioso riconoscimennto da Decanter nel 2020:
    Fiano di Avellino DOC 2018
    Oi nì I.G.P.

    Ma la famiglia Scuotto non può essere riconosciuta solo per i suoi “bianchi: sono produttori di altrettanti ottimi vini rossi. L’ultimo nato è “Redo”, ottenuto anch’esso da uve di aglianico in purezza, ma la particolarità è che è un vino che nasce già pronto: mettete l’idea dell’associazione “aglianico giovane = austero” da parte, perchè verrete stupiti dalla sua armonia. E’ affiniato per 8 mesi in barrique e completa la sua trasformazione con una fermetazione malolattica. Anche in questo caso le bottiglie prodotte sono davvero poche, circa 1200.

    Nasce da uve 100% Aglianico di Taurasi: la sua produzione avviene attraverso raccolta e selezione dei grappoli più maturi, diraspatura senza pigiatura, fermentazione con lieviti indigeni a temperatura di 22/25 gradi per circa 18 giorni, alla svinatura il vino viene trasferito direttamente in barrique nuove, dove finisce la fermentazione e svolge la malolattica. Dopo circa 8 mesi in legno, viene imbottigliato senza filtrazione e né refrigerazione. L’affinamento avviene per tre mesi in bottiglia. Alla vista questo vino si presenta di color rosso rubino intenso con riflessi violacei. Avvolgente con una lunga persistenza aromatica è un Aglianico poderoso pronto a dare il suo contribuito alla nobile causa, un VINO di struttura che conservasse la piacevolezza olfattiva e gustativa tipici della GIOVINEZZA. Una prontezza di beva che rende il sorso pieno, voluminoso, agile al punto da favorirne il riassaggio. Il vino, giovane, si caratterizza proprio per la sua morbidezza e la sua piacevolezza, tanto che non potrete fare a meno di berne ancora. E’ di complemento a formaggi stagionati, carni rosse, arrosti, selvaggina alla brace, da il meglio di sé con una tagliata di manzo.

    Le mie considerazioni: l’olfatto apre ad una aggraziata espressività di profumi che richiamano la mora, la ciliegia, i frutti a bacca scura, le erbe aromatiche, morbide spezie e delicati cenni balsamici. Al palato è equilibrato e pieno, di buon corpo e tannicità, freschezza delicata e finale balsamico con tannini maturi e un sorso morbido e armonioso dal frutto ricco e intenso. Il finale e lungo, persistente, fresco ed equilibrato. Il Redo di Tenuta Scuotto è un Vino perfetto da bere subito, ma può evolvere bene se tenuto a riposare in cantina, può riposare tranquillamente in cantina per 4-5 anni.