Il vino alla corte del Re,l’uva rotonda autoctona: O’ “Pallarello”

Pallagrello o “U pallarell” nel dialetto locale, deriverebbe da Pilleolata, termine di origine latina per indicare una piccola palla a richiamare la forma minuta e perfettamente sferica degli acini ed è uno dei pochi casi di vitigno a bacca rossa e bianca.

“Ecco primier già spillo il dolce Pallagrello che da suoi tralci stilla Monticello. Ecco n‘empio il bicchiere e mentre fuma e brilla, e tremula e zampilla, questo di buon sapere spiritoso licore, a te volgo la fronte…”. Queste sono le parole che il poeta Nicolò Giovo, nel 1729, dedicava al nobile ed antico vino Pallagrello. E’ originario della zona di Piedimonte Matese, motivo per cui fu lungo denominate proprio il “Piedimonte”. Per molti anni la sua identità fu confusa, associata al coda di Volpe o a cloni di Aglianico,.ma verso la fine del’800 l’agronomo Felice Frioio lo identificò come varietà ampelograficamente riconosciuta. Con gli anni, sia a causa di infestazione di oidio e filossera che per una minore produttività rispetto ad altre varietà, se ne era drasticamente ridotta la produzione. Oggi invece viene allevato e vinificato in purezza con ottimi risultati rientrando tra le produzioni della denominazione IGT” Terre del Volturno”. Il Pallagrello era uno dei vini preferiti dalla famiglia reale Borbonica che lo usava spesso per le grandi occasioni, preferendolo anche ai rinomati vini francesi e donandolo come omaggio agli illustri ospiti. Fu in particolare Ferdinando IV, grande appassionato di innovazioni agronomiche e molto legato al suo territorio essendo il primo sovrano della dinastia ad essere nato in Campania, a dare risalto e fama a questo importante vino facendolo diventare “il vino del re”.

Nel 1775 infatti fece installare a Piedimonte Matese, in località Monticello una lapide celebrativa che omaggia tutt’oggi la storia e le qualità di questo vino, arrivando ad emanare un decreto che vietava a tutti il transito in zone adibite alla coltivazione di Pallagrello, pena sanzioni.

Tuttavia l’opera che più mostra l’amore di Ferdinando IV per il vino fu la realizzazione della Vigna del Ventaglio nel real sito di San Leucio: si tratta di un imponente vigna della forma di un Ventaglio, a 10 raggi, costituito da filari ognuno di uve rappresentative delle eccellenze del regno delle 2 Sicilie: da Lipari Rosso al Pallagrello, sia rosso che bianco (denominato Piedimonte Bianco e Rosso al tempo) con una produzione di alta qualità che arrivava a 80 barili. Ogni settore era segnato con dei ceppi in travertino di Bellona con incisa la varietà li presente e l’intero progetto fu realizzato dal Leggendario Luigi Vanvitelli.

Nello stesso periodo, altre fonti elogiarono questo vino. Il dizionario geografico del 1759 scriveva del vino di Monticello: “I vini di questa contrada sono eccellenti così bianchi come rossi, e sono de’ migliori del regno per la loro qualità e natura, come per la grata sensazione che risvegliano nel palato. Vanno sotto il nome di ‘pallarell’, e sono stimatissimi nei pranzi”. Il vino di Monticello fu preferito ai vini Vesuviani per il suo sapore deciso e fruttato, apprezzato per i grappoli dalla forma piccola e tonda (in alcuni scritti viene indicato con il nome di pilleolata, dal latino piccolo palla), vezzeggiato per il suo sapore.

Queste caratteristiche rendono il Pallagrello uno degli omaggi che il sovrano donava ai propri ospiti, nonché uno tra i vini più titolati nei ricevimenti a Palazzo Reale. La storia del Pallagrello è quindi stata travagliata e segnata da alti e bassi, dalle tavole reali alla quasi estinzione fino alla recente riscoperta che è culminata con la reintroduzione della produzione nella reale tenuta di Carditello, abitata proprio dai Borbone, con un’ ideale reinvestitura al titolo che gli appartiene: Vino del Re.
La produzione di Pallagrello, oggi, è circoscritta all’area dei comuni delle colline caiatine (https://mediovolturno.guideslow.it/panorami/monti-del-taburno/), dei monti Trebulani (https://mediovolturno.guideslow.it/panorami/catena-monte-maggiore-vista-dalla-torre-roccaromana/) e della Valle Alifana, dove il terreno argilloso si presta bene alla coltivazione di un vitigno delicato e molto vigoroso. Ne deriva un frutto dalle qualità fortemente spiccate, che conferiscono al vino, sia bianco che nero, proprietà organolettiche particolari, legate alle caratteristiche pedologiche e climatiche del territorio in cui viene prodotto.


Il Pallagrello bianco ha un gradevolissimo profumo e un gusto equilibrato con un lungo finale di albicocca. Bello anche alla vista… dal colore giallo chiaro, brillante, con sfumature dorate. Il suo bouquet di aromi si apprezza maggiormente se gustato alla temperatura di 12 gradi. Per queste sue note, è un eccellente aperitivo che accompagna egregiamente tutti i tipi di antipasto e anche piatti a base di formaggi o pesce.

Il Pallagrello Rosso è invece un vino potente e ben strutturato. Ha un aroma profondo, che sfuma verso una scia speziata di more e mirtilli, e un profumo intenso, che rimanda al sentore di frutti di bosco, pepe e cioccolato. Il colore è limpido e varia dal rubino carico al rosso porpora. Morbido e vellutato al palato, il Pallagrello Rosso dà il meglio di sé gustato alla temperatura di 18 gradi. Si abbina molto bene a piatti complessi e ricchi di sapore, come i secondi di carne o piatti di formaggi semi-stagionati. Più di altri vini, si presta meglio all’invecchiamento.

Storia diversa ha avuto Il Casavecchia: ha origini invece poco conosciute e per questo è davvero molto interessante scoprirne le origini. Una leggenda tramandata tra i contadini ne fa risalire la scoperta in un vecchio rudere noto come “’a casa vecchia”. Lì fu rinvenuto agli inizi del ‘900 un vecchio ceppo sopravvissuto alle epidemie di oidio e fillossera dell’800, capostipite quindi dell’odierno vitigno Casavecchia. Essendo poco produttivo, spinge naturalmente verso prodotti di alta qualità. Permette di ottenere un vino vigoroso, complesso e predisposto all’invecchiamento, soprattutto se affinato in legno.

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