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  • ‎La cantina più antica del mondo ha 6100 anni e si trova in una grotta in Armenia‎‎

    Il vino fa parte della cultura e della tradizione della vita umana da tempo immemore. Nell’antica Grecia il vino era lodato da poeti, storici e artisti, ed era spesso citato nelle opere di Esopo e Omero.‎: Dioniso, il dio greco del vino, rappresentava non solo il potere inebriante del vino, ma anche le sue influenze sociali e benefiche.

    Ma il vino è molto più antico della storia fin’ora registrata e potrebbe risalire a oltre 20 milioni di anni fa, poiché i lieviti in fermentazione si sono evoluti insieme alle piante da frutta.‎ La gente iniziò a coltivare uva probabilmente poco dopo aver iniziato a coltivare grano, intorno all’8000 aC; nei tempi antichi il vino era considerato un dono magico e spontaneo della natura.‎


    ‎La cantina più antica del mondo è stata scoperta in una grotta sulle montagne dell’Armenia: prima che questa cantina fosse scoperta, la più antica cantina conosciuta era in Israele datata 1650 aC.‎‎. Un team internazionale di ricercatori ha scoperto una ciotola per bere, una pressa per uva, una tazza e vasi di fermentazione risalenti a circa 6.100 anni fa nella grotta nella zona chiamata Areni-1 in Armenia; sicuramente sono state trovate prove più antiche delle sue origini ma questo è il primo esempio di produzione completa di vino venuto alla luce. ‎‎Il complesso rupestre Areni-1 si trova nel villaggio di Areni,noto già per la sua produzione vinicola, nella provincia di Vayots Dzor nella Repubblica di Armenia. ‎La pressa e l’ampia vasca poco profonda ritrovate nella grotta sono simili alle attrezzature utilizzate dalle persone in tutta la regione fino al XIX secolo:‎ i botanici esaminandole hanno dichiarato che era la tipica specie di Vitis vinifera, la stessa utilizzata per produrre la stragrande maggioranza del vino oggi.‎ ‎

    Gregory Areshian, co-direttore dello scavo e assistente direttore del Cotsen Institute of Archaeology dell’Università della California di Los Angeles, afferma che il vino sarebbe paragonabile a un moderno vino rosso non filtrato e potrebbe aver avuto un sapore simile a un merlot, con un colore rubino scuro. Riguardo i metodi di vinificazione e affinamento nonchè il suo consumo non sono ancora chiari, molto probabilmente le persone che producevano il vino nella cantina della grotta lo usavano per scopi cerimoniali, probabilmente per cerimonie funebri, dal momento che si è successivamente scoperto che la grotta era un tempo un importante sito funerario.‎‎Questa scoperta dimostra che le persone svilupparono l’agricoltura e abilità vinicole già nel 4.000 a.C., e come dichiara lo stesso Areshian, ‎‎”Produrre questo vino dimostrava un’alta tecnologia dell’epoca richiedendo una conoscenza dettagliata dei cicli di irrigazione, potatura delle viti, nonchè la capacità di affrontare i parassiti e lo stesso processo di fermentazione, più complesso della birra”.‎

  • Luigi Moio è il nuovo presidente dell’Organisation Internationale de la Vigne et du Vin (Oiv)

    I successi internazionali per l’Italia, dal calcio al tennis si rispecchiano anche nel vino: è l’italiano Luigi Moio, professore ordinario di enologia nel Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, produttore con la cantina Quintodecimo, in Irpinia, e già vicepresidente dell’Oiv, il nuovo presidente dell’Organisation Internationale de la Vigne et du Vin. L’elezione è avvenuta pochi minuti fa, nell’assemblea de “l’Onu del vino”, andata in scena in presenza ed in forma ibrida a Parigi. Moio è stato eletto superando il competitor australiano, Tony Battaglene, che ha ritirato la propria candidatura dopo una prima votazione che vedeva in netto vantaggio lo stesso Moio, sotto di pochissimi punti al quorum richiesto dal regolamento Oiv. Un riconoscimento importante per l’Italia del vino e per il professor Luigi Moio, considerato una delle massime autorità nel mondo della ricerca e della scienza applicata al vino, e già, tra le altre cose, Accademico dei Georgofili e dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino, autore di numerose pubblicazioni. Professore ordinario di enologia presso il Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. dopo la laurea in Scienze Agrarie e un dottorato di ricerca in Scienze e Tecnologie Alimentari, si è specializzato al Laboratoire de Recherches sur les Arômes dell’Institut National de La Recherches Agronomique di Dijon, in Borgogna, dove ha lavorato per 4 anni. Nominato nel 1998 esperto scientifico per il Ministero delle Politiche Agricole per la commissione Enologia presso l’OIV (Organisation Internationale de la Vigne et du Vin) con sede a Parigi, nel 2015 ne è stato eletto Presidente. Accademico dei Georgofili e dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino, è presidente del Corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia e del Corso di Laurea Magistrale in Scienze Enologiche dell’Università degli Studi di Napoli oltre ad essere responsabile della Sezione di Scienza della Vigna e del Vino e membro del Consiglio Scientifico della Scuola di Dottorato in Scienze Agrarie e Agroalimentari della medesima Università.
    Da più di 25 anni si occupa degli aspetti sensoriali, biochimici e tecnologici dell’aroma del vino, prestando particolare attenzione agli aspetti tecnologici di base rivolti ad esaltare e preservare l’originalità varietale del vino.

  • Curiosità sulla nascita del vino Rosè

    Non sappiamo esattamente quando questo vino sia nato, poichè si risale nella sua versione ferma almeno al periodo greco-romano, dove veniva fatto con tecniche utilizzate ancora oggi o anche con la diluizione del vino rosso con l’acqua. Secondo una leggenda, il vino rosato nasce casualmente in un piccolo villaggio del veronese per opera di un prete piuttosto furbo. Il prete, infatti, disponeva di un orto dove poter coltivare la vite e produrre il vino necessario per la celebrazione della messa. In realtà, il curato, trascurando completamente il proprio orto, si affidava esclusivamente alla generosità dei fedeli, i quali erano soliti donare notevoli quantità di vino una volta ultimata la vendemmia, oltre a frutta e verdura; finché, un giorno … i compaesani, stanchi della sua pigrizia, decisero di donare quantitativi inferiori di vino e cibo. Per recuperare il vino da utilizzare nel corso della messa, il prete si intrufolò nella cantina del villaggio, perforò una delle botti e raccolse, in un recipiente, il liquido. Le vinacce erano rimaste a contatto con il mosto solo per poche ore e il vino, non avendo ancora iniziato la fermentazione, presentava un colore rosato. L’inganno venne scoperto, ma l’estrazione del vino in una fase di non completa maturazione stimolò la creatività dei viticoltori del villaggio che iniziarono a produrre il vino rosato. Secondo gli studiosi, invece, il rosato nasce in Francia, dove ancora oggi gode di una considerazione tale da rappresentare il vino di Natale per eccellenza.

    Ad oggi il rosato di suò produrre con differenti tecniche quali, assemblaggio, macerazione pre-fermentativa a freddo, macerazione del mosto sulle bucce, salasso o pressatura semplice: di gran lunga quest’ultima è la più usata.

    Il rosè d’assemblaggio si ottiene dalla spumantizzazione di uve a bacca bianca e l’aggiunta di vino rosso prima della seconda fermentazione, solitamente Pinot Nero; inoltre non si ottiene solo con il mix di uve a bacca bianca e nera, ma anche di vino ottenuto da annate differenti, per mantenere l’equilibrio e lo stesso stile negli anni. Il colore del rosato in un vino spumante dipende qua quanto sono state spremute le bacche e da quanto il mosto è stato in contatto con le sue bucce, dandogli il suo colore caratteristico.

    Un rosato caratteristico da bere in estate, fresco e anche dissetante è il Negramaro Rosato di Tormaresca-Cantine Antinori:  vino estremamente piacevole, dai sentori floreali di rosa e gelsomino, elegante e perfettamente bilanciato. 

    Ottimo da aperitivo, si abbina a pizze e focacce, ad insalate miste e a piatti freddi a base di verdure.

  • Bordeaux…Vicino all’acqua

    E’ questo il significato della parola Bordeaux e l’influenza geografica dell’oceano e dei due fiumi navigabili, Garonne e Gironda, sono evidenti sia nelle caratteristiche del vino, che nel successo dei suoi vini. È la più vasta ed estesa regione vitivinicola francese e produce alcuni dei migliori vini rossi francesi, grandi vini dolci e complessi vini bianchi. Bordeaux è spesso messa a paragone con l’altra importante regione francese, la Borgogna. I due stili di vino hanno interpretazioni molto distanti fra di loro. I vini di Borgogna sono l’esaltazione della natura, i grandi vini di Bordeaux sono il trionfo della civiltà.

    I vini di Bordeaux sono fondati sul concetto di Chateau. Ogni Chateau crea il proprio vino unendo vitigni differenti da terroir differenti con lo scopo di creare uno stile interpretativo. Agli Chateau è proibito acquistare uve da altre aziende quindi devono coltivare le proprie uve. In Borgogna invece il fulcro è il vigneto. L’enfasi è sulla provenienza delle uve, non su chi le produce. Di conseguenza è possibile per qualsiasi produttore acquistare uve non coltivate da loro. Un vino stupendo che merita essere degustato è prodotto da DOMAINE FRANCOIS GAY ET FILS


    APPELLAZIONI DEI VINI DI BORDEAUX
    Bordeaux è la più estesa regione vitivinicola francese e produce vini di stile profondamente diverso fra loro. Per questo motivo la regione è divisa in zone e appellazioni differenti. Le tre zone di Bordeaux sono la sponda sinistra ( Rive Gauche ), la sponda destra ( Rive Droite ) e la zona fra i due fiumi Dordogne e Garonne conosciuta come Entre-Duex-Mers (fra i due mari).


    La Rive Gauche del BORDEAUX
    Sono i vini coltivati a ovest della sponda dei fiumi. Qui i vini rossi hanno una percentuale maggiore di Cabernet Sauvignon rispetto ai vini della sponda destra. Come conseguenza sono più tannici e con un lungo potenziale d’invecchiamento. Inoltre rientrano in suddetta zona anche le appellazioni dei grandi vini dolci di Sauternes e Barsac e la maggior parte delle appellazioni dei vini bianchi secchi. Le due macrozone della sponda sinistra sono: la penisola di Medoc e Graves.
    Nella penisola di Medoc troviamo alcuni dei più famosi Chateau di Bordeaux, come Mouton-Rothschild, Lafite-Rothschild, Margaux, Latour, Palmer ecc… Si sviluppa a nord della città di Bordeaux lungo le sponde del fiume Gironde. La penisola di Medoc è ulteriormente divisa in due zone Medoc e Haut-Medoc. Il Medoc è la zona a nord, vicina all’oceano. Qui l’influenza dell’oceano e le basse temperature non facilitano la maturazione delle uve. Per questo motivo produce vini piuttosto rustici, leggeri e tannici. L’Haut-Medoc è invece la zona da cui provengono i migliori vini di Bordeaux.
    La zona del Graves è divisa in due AOC per i vini rossi e bianchi: Pessac-Léognan e Graves. Pessac-Léognan si sviluppa subito a Sud della città di Bordeaux ed è qui che si trovano gli Chateau più importanti come Haut-Brion e La Mission Haut-Brion. Nel sud del Graves troviamo poi Sauternes e Barsac, dove si producono i grandi vini dolci. Negli ultimi anni, complice anche il calo dei consumi dei vini da dessert, si è iniziato a produrre ottimi vini bianchi secchi anche a Sauternes e Barsac ma per disciplinare devono essere etichettati come Bordeaux Blanc.


    La Rive Droite del BORDEAUX
    I vini della sponda destra del fiume sono solitamente dominati dal Merlot. Qui si trovano le appellazioni appellazioni di Pomerol e Saint-Emilion, patria di importantissimi Chateau come Petrus, Chateau Angelus, Chateau Cheval Blanc, Chateau Ausone, Le Pin e Chateau Pavie. Sempre nel right bank si trovano inoltre alcune appellazioni minori ma che producono vini dall’eccellente rapporto qualità-prezzo come i comuni satellite di Saint-Emilion, Lalande-de-Pomerol, Castillon Cotes de Bordeaux, Cotes de Bourg, Fronsac e Canon-Fronsac, Blaye e Blaye Cotes de Bordeaux.


    UVE COLTIVATE A BORDEAUX
    A Bordeaux sono nati alcuni dei vitigni più celebrati al mondo. Storicamente la produzione vitivinicola della regione era equamente divisa fra vini bianchi e vini rossi ma nel 2019 secondo un censimento del CVIB (Conseil Interprofessionnel du Vin de Bordeaux) la stragrande maggioranza dei vigneti (88%) è pianta ad uve rosse e solo il 12% con vitigni bianchi. La produzione della regione è quindi divisa in 84% vini rossi, 9% vini bianchi, 4% vini rosati, 2% vini dolci e 1% di Cremant. Fra i vini rossi la parte del leone la fa il Merlot (66%) seguito dal Cabernet Sauvignon (22%) e Cabernet Francesi (9%). Il restante 3% è composto da uve minori come Malbec, Carmenere e Petit Verdot.
    Sebbene questa sia lo suddivisione generale vi sono delle importanti differenze. Nel Medoc la percentuale di Cabernet Sauvignon è spesso superiore alla media di Bordeaux, in particolar modo a Pauillac. A Pomerol e Saint-Emilion il Merlot è il vitigno principe, spesso unito al Cabernet Franc. Carmenere e Petit Verdot sebbene trascurabili nell’insieme, giocano un ruolo fondamentale nel carattere di alcuni vini. Chateau Palmer a Margaux e Chateau Meyney a St-Estephe hanno percentuali molto significative di Petit Verdot (6% Palmer, 18% Meyney) mentre il Carmenere ha un ruolo importante nel carattere dei vini di Brane-Cantenac.

  • “Il Greco” di Maddaloni della nobilissima famiglia Tixon de Vidaurres

    Il più grande produttore vinicolo del Greco di Maddaloni è la nobilissima famiglia Tixon, originaria della Spagna, dove già mille anni fa erano tra gli hidalgos, cavalieri di Calatrava e di San Giacomo. Tra i baroni Tixon don Bartolomeo nel  1606 fu insignito del titolo di conte del Rio, nell’anno, il cui figlio, e il figlio don Pietro Antonio per matrimonio con Anna Vidaurres d’Orduna, divenne per maritalis successio duca di Orduna. Estintasi la prima linea,  il ramo ducale continuò con la linea secondogenita dei Tixon con don Leonardo I Tixon nato in Sicilia, al seguito del padre uffiziale spagnolo al seguito di re Carlo di Borbone nel 1734, che riunì i titoli nobiliari di Tixon y Vidaurres e d’Orduna. Don Leonardo Tixon duca si distinse al seguito dell’esercito borbonico e salì fino ai gradi di tenente generale e poi generale di corpo d’armata napoletana. Sposo  di donna Clotilde Capone, sorella del magistrato Gaspare, proprietario di Palazzo Venezia in Napoli. la storica magione passò per eredità al figlio don Leonardo II insieme con i beni dell’alto casertano e ai vasti possedimenti a Maddaloni, le cave e i vigneti di Chiosco Galasso e della collina di Grado, nonché il castello avito. I Tixon riorganizzarono e migliorarono l’antica produzione del famoso vino greco di Maddaloni, nelle due qualità bianche di Greco di Grado e di  Chiosco Galasso. Leonardo II Tixon fu maggiore di artiglieria di complemento nella guerra ’15-’18, Commendatore dell’Ordine Equestre Corona d’Italia, Cavaliere di San Maurizio e San Lazzaro, e dell’Ordine Militare dei Savoia, divenne fedele seguace del primo ministro Mussolini. Venne decorato per le sue riforme agrarie in Maddaloni e nell’alto casertano e si guadagnò la Stella d’Argento al Merito Rurale e il cavalierato del Lavoro. Il suo erede duca don Alberto fu confratello e primo governatore in Napoli della Real Arciconfraternita dei nobili spagnoli. Anche don Alberto apportò migliorie alle vigne delle sue cave tufacee, incrementandone la raccolta di uva. L’azienda agricola Tixon,  legata alla famiglia attraverso l’avo Capone sin dai tempi dei Borbone, negli ultimo 70  anni ha incrementato la produzione del vino bianco Greco di Maddaloni o di Grado. La produzione di questo eccellente e storico nettare è però limitata:  grazie alla famiglia su un ettaro scarso è stata ripresa la coltivazione di questa antica varietà eccellente dalla quale si produce un vino che differisce nettamente dagli altri Greco campani. ll vino che nasce dall’uva Greco di Maddaloni grazie all’amore della grande famiglia Tixon ancora illumina con il suo colore giallo-verdognolo, inebria con il suo profumo gradevole e delicato seppur di carattere, armonizza tutt’e cinque sensi, una vera delizia. Antica Tenuta dei Duchi tixon De Vidaurres “Il Greco” Campania IGT 2019 Caserta

  • Asprinio d’Aversa e le sue viti ‘maritate’

    La vendemmia degli ‘Uomini Ragno’

    Aversa, Carinaro, Casal di Principe, Casaluce, Casapesenna, Cesa, Frignano, Gricignano di Aversa, Lusciano, Orta di Atella, Parete, San Cipriano d’Aversa, San Marcellino, Sant’Arpino, Succivo, Teverola, Trentola – Ducenta, Villa di Briano, Villa Literno in provincia di Caserta e Giugliano, Qualiano e Sant’Antimo in provincia di Napoli: sono i 22 comuni I comuni vocati per la coltivazione dove è possibile produrre l’Asprinio d’Aversa,- rientranti nel disciplinare di produzione della Doc – dei quali 19 nel casertano e 3 in provincia di Napoli.   Istituita nel luglio ’93  la ‘doc’  è stata voluta per disciplinare la produzione di un bianco fermo e due tipologie di vino spumante, un metodo Martinotti (charmat lungo) e un Metodo Classico. In etichetta, quando le uve provengono esclusivamente da viti maritate, è ammessa la dicitura “alberata” o “da vigneti ad alberata”o da viti “maritate”. Se ne ottiene un bianco dal colore verdolino e dal profumo tenue, che sa di fiori gialli, di mela, note agrumate. Ma è in bocca che conquista l’appassionato, caratterizzato da un’elevata acidità fissa, dovuta dagli elevati livelli di acido malico che ne fa un’ottima base per la produzione di spumante di qualità: ha un sapore decisamente secco, asprigno appunto, fresco e caratterizzato da una certa profondità degustativa quando lavorato con sapiente attenzione in cantina.

    Mario Soldati lo descrive così:

    “Non c’è bianco al mondo così assolutamente secco come l’Asprinio: nessuno.

    Perché i più celebri bianchi secchi includono sempre, nel loro profumo più o meno intenso e più o meno persistente, una sia pur vaghissima vena di dolce. L’Asprinio no, l’Asprinio profuma appena, e quasi di limone: ma, in compenso, è di una secchezza totale, sostanziale, che non lo si può immaginare se non lo si gusta… Che grande piccolo vino!”

    Queste in pratica sono alcune delle caratteristiche che rendono unico, ineguagliabile l’Asprinio di Aversa, il “grande, piccolo vino” di Mario Soldati estremamente secco e asciutto, di perlage finissimo e persistente, è vino superbo e facile compagno di tutto il pranzoS.ingolare ed affascinante il sistema di allevamento tradizionale ad alberate, o festoni, per l’ asprinio di Aversa: consiste nel far arrampicare i tralci delle viti intorno ad alti pioppi od olmi, che fungono da tutori, raggiungendo anche i 25 metri di altezza e formando vere e proprie barriere vegetali, chiamate vigne maritate.Le viti si arrampicano, “maritate” al pioppo cariche di grappoli  verso il cielo; la loro raccolta impone ai viticoltori equilibrismi incredibili su altissime scale di legno, proprio per questo vengono soprannominati gli “uomini Ragno”: un lavoro la cui difficoltà si ripete anche nella potatura.

    Il sistema alberata consente non a caso di conservare un alto grado di acidità all’uva, in quanto la distanza dei grappoli dal terreno li preserva dall’effetto del caldo. Inoltre isola l’umidità, che favorirebbe le malattie.

    La storia di questo vino è alquanto…frizzante, le sue origini sono incerte: sembra che abbia origine etrusche ed è unico nel suo genere. Alcune analisi molecolari svolte sul vitigno, dimostrano comunque che è uno dei più antichi della Campania, geneticamente simile all’uva greco. Altre fonti ipotizzano la parentela con il pinot bianco, introdotto nel Cinquecento – durante la dominazione francese – dalla Corte Angioina, per ottenere un vino spumantizzato, che riproducesse le caratteristiche dello champagne.La scelta del territorio, per coltivare l’asprinio (la rigogliosa terra di Aversa, un tempo chiamata Liburia) non è un caso, è sostanzialmente dovuta alla conformazione del terreno, di origine vulcanica riconducibile all’area flegrea, composta da tufo giallo e grigio, da lapilli, pozzolane e cenere, ricco di trachite e potassio. Questi elementi consentono di ottenere un vino che si presta ad essere spumantizzato.

     Si narra, comunque, che il sovrano Roberto d’Angiò, nel Trecento, abbia incaricato il proprio cantiniere, Louis Pierrefeu, di individuare il “cru” migliore per impiantare il vitigno Asprinio, portato dalla Francia per produrre spumante, altrimenti impossibile da avere a causa delle distanze che dividevano il Regno di Napoli dalla Regione dello Champagne. Pierrefeu non tardò a rendersi conto che l’Agro Aversano aveva condizioni climatiche tali da consentirgli di produrre uno spumante “leggero e brioso quant’altri mai”, con il quale avrebbe letteralmente inebriato la corte angioina.E così fu. Da allora l’asprinio di Aversa è noto non solo in Campania, ma viene apprezzato da grandi enologi e raffinati intenditori fino ad ottenere nel 1993 la consacrazione a livello nazionale e internazionale con l’assegnazione del marchio DOC.

    Le caratteristiche fisiologiche del vitigno Asprinio, coltivato solo nella zona aversana, e conservato nelle tipiche grotte di tufo profonde anche oltre 15 metri, dove la temperatura rimane costante, inverno ed estate, intorno ai 13 – 14 gradi, ne fanno, oltre ad un vino “allegro, leggero, brioso” (Veronelli), uno spumante elegante, eccezionalmente buono, molto ricercato per la sua naturale freschezza.

    Abbinamenti gastronomici:

    Il vino è consigliato con prosciutto, piatti a base di verdure, pesce in bianco con maionese, insalate di mare, frutti di mare, specie se crudi, fritture di scoglio e crostacei; particolarmente indicato per accompagnare le “mozzarelle di Aversa”, ottimo abbinamento consigliato è con l’Asprinio di Aversa dell’Azienda Agricola Vestini Campagnano

    Lo spumante, invece, è ottimo come aperitivo o per accompagnare menù raffinati in bianco e a tutto pasto; è in eccellente armonia con rane indorate e fritte o anguille di fosso fritte.

    Caratteristiche del vino fermo:

    Colore: paglierino, più o meno carico;

    Odore: intenso, fruttato, caratteristico;

    Sapore: secco, fresco, caratteristico;

    Vitigni: Asprinio (min. 85 %), altri (max 15 %);

    Gradazione alcolica min.: 10,5%;

    Produzione max: 120 qli/Ha, nel caso di controspalliera; 4 kg/mq di parete verde nel caso di alberata;

    Caratteristiche dello spumante:

    Spuma: fine e persistente;

    Colore: paglierino, più o meno intenso;

    Odore: fine, fragrante, caratteristico;

    Sapore: secco, fresco, caratteristico;

    Vitigni: Asprinio in purezza;

    Gradazione alcolica min.: 11,50 %;

    È un vino dal colore verdolino e dai profumi agrumati, tra i quali spicca la nota di limone, ed ha toni vegetali. Ha struttura, e peculare acidità che lo rende “aspro”. Da qui il nome “asprinio”.

    Le caratteristiche fisiologiche del vitigno asprinio, si manifestano con un grappolo di medie dimensioni, a forma conica, di colore grigio/verde e con la presenza di abbondante pruina sulla buccia, che risulta abbastanza spessa. È vigoroso e resistente alla peronospora. Matura intorno alla fine di settembre.

    L’Asprinio di Aversa, secondo gli antichi canoni, gode della frescura, della giusta umidità e di temperatura costante tutto l’anno. Per questi motivi, sosta il tempo necessario, in grotte di tufo scavate a 13 metri di profondità, prima dell’immissione sul mercato.   

    Purtroppo l’azienda Buton per anni è stato l’unico cliente dell’asprinio: per le caratteristiche di neutralità ed acidità del vino, lo distillava per produrre il Brandy Vecchia Romagna. Oggi diverse cantine producono l’ asprinio d’Aversa, ma le aziende non sono in numero sufficiente  per fare sistema e portare il vitigno alla gloria di tanti altri vini italiani.

    Un vino che come pochi, spicca per la profonda territorialità, dove la particolare forma di allevamento – alberata aversana – prende il nome dalla terra che lo ha visto nascere, testimoniando il rapporto storico culturale che lega l’asprinio al suo territorio.